Con il coronavirus ci riscopriamo più simili agli animali. È la nostra natura ma anche la nostra cultura

di Fabrizio Rondolino

Con il coronavirus ci riscopriamo più simili agli animali. È la nostra natura ma anche la nostra cultura

In questo tempo sospeso, di fronte ad un pericolo sconosciuto e dai contorni ancora imprecisati, la nostra vita si è per dir così semplificata: non soltanto perché siamo costretti a fare molte meno cose di prima, ma anche, e soprattutto, perché i nostri comportamenti e le nostre reazioni sembrano rispondere più all’istinto – che è sempre semplice, immediato, diretto – che alla ragione. Ciò non significa che siamo irragionevoli – anzi, nella stragrande maggioranza dei casi ci stiamo dimostrando più responsabili di quanto noi stessi pensassimo – ma, semmai, che la nostra ragione è più efficace perché risponde prima di tutto ad un istinto primordiale: la sopravvivenza dell’individuo e della specie. In altre parole, siamo diventati un po’ più simili agli animali.

Qualcuno è inorridito vedendo sulla rete e in televisione gli assalti ai supermercati, e qualcuno si è sentito superiore e ha guardato con fastidio agli eccessi della gente comune: la verità, però, è che ci siamo comportati come qualsiasi altro animale, assicurandoci la risorsa essenziale, l’unica a cui per nessun motivo possiamo rinunciare – il cibo. Se avessimo soltanto usato la ragione, avremmo facilmente concluso che non c’è in Italia nessun problema di approvvigionamento alimentare, e che non ci sarà neppure se – Dio non voglia – la situazione dovesse peggiorare di molto. L’istinto ha però suggerito un’altra soluzione, e la nostra mente semplificata dalla pandemia gli ha dato retta. In etologia si chiama «opportunismo»: ogni volta che un predatore incontra una preda, a meno che non abbia appena finito di mangiare, coglie l’opportunità dell’incontro per uccidere. E il motivo è semplice: nessuno può sapere quando si ripresenterà l’occasione.

È questo per esempio il motivo per cui un gatto con la ciotola sempre piena di crocchette continua a cacciare lucertole che poi regolarmente abbandona per casa. Nelle condizioni profondamente mutate in cui ci troviamo, l’assalto al supermercato è l’equivalente della caccia alla lucertola di Sergio e Laura. Non voglio giustificare questo comportamento: ma neppure mi sento di condannarlo, perché ci appartiene profondamente.

In questi primi giorni di clausura forzata, un po’ ovunque in Italia la gente ha improvvisato dai balconi di casa concerti e performance collettive, spesso anche intonando l’inno nazionale, che di solito riserviamo soltanto alle vittorie della Nazionale ai Mondiali. E anche in questo non è difficile scorgere il lavoro dell’istinto. Siamo animali profondamente, indelebilmente sociali. Nel nostro patrimonio genetico è inscritta una modalità molto precisa: possiamo vivere soltanto insieme agli altri, e all’interno di una struttura gerarchica ben definita.

Non solo: i membri del branco hanno continuamente bisogno di confermarsi reciprocamente l’appartenenza alla stessa comunità. Per questo motivo i cani (come i lupi) si leccano il muso l’un l’altro, i gatti si annusano, gli scimpanzé si spulciano: ognuno di questi atti, ripetuti anche più volte nel corso della giornata, ribadisce l’esistenza di un legame collettivo e in questo modo anche lo rafforza. Affacciarsi alla finestra per cantare con il dirimpettaio l’inno nazionale è esattamente la stessa cosa. Non credo che la «natura» sia preferibile o superiore alla «cultura», anche perché è impossibile separare i due ambiti: la nostra cultura è precisamente la nostra natura, e viceversa, così come si sono organicamente evolute negli ultimi trentamila anni. Però mi sembra importante, e anche in una certa misura consolatorio, ricordarsi che alla radice dei nostri comportamenti, soprattutto in una condizione di difficoltà, ci sono motivazioni e reazioni condivise da tutti gli altri animali: e questo ci aiuta ad avere più rispetto per le altre creature, e una più matura consapevolezza di sé.

Fonte : https://www.corriere.it/animali/bonnie-e-co/notizie/con-coronavirus-ci-riscopriamo-piu-simili-animali-nostra-natura-ma-anche-nostra-cultura-a5ca7b62-65fb-11ea-a287-bbde7409af03.shtml

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