Sisu, il randagio che entrava in un negozio di giocattoli per “rubare” un unicorno viola

I dipendenti del Controllo animali del North Carolina hanno ricevuto una chiamata davvero insolita: un cane randagio, un Pitbull, continuava ad entrare in un negozio, un Dollar General, e andava dritto alla sezione giochi.

Ad attirare l’attenzione del cane era un unicorno di pezza viola, sempre lo stesso: «Andava spedito dritto dall’unicorno, lo stesso ogni volta – ha raccontato Joe Newburn, un supervisore del Duplin County Animal Service – Era una situazione davvero strana, la chiamata più strana che abbia mai ricevuto a lavoro».

I commessi di un negozio vicino, il Kenansville, hanno raccontato che vedevano il randagio sgattaiolare nel Dollar General ogni volta che un cliente usciva lasciando la porta aperta e il dolcissimo Pitbull correva a prendere il suo amato unicorno viola. Alla fine, i commessi, esasperati, hanno chiuso la porta a chiave e hanno chiamato il Controllo animali. A rispondere è stata Samantha Lane che, una volta ascoltata tutta la storia, era così divertita e commossa dalla devozione del cane nei confronti del suo pupazzo preferito che ha deciso di acquistarlo al costo di 10 dollari.

Newburn ha poi raccontato che la stessa Lane, dopo aver consegnato il giocattolo al cane, non ha avuto alcuna difficoltà a portarlo con sé, anzi: il Pitbull ha lasciato il negozio felice e con il suo unicorno nella bocca.

Trasportato al canile Duplin County Animal Services, il cucciolone è stato ribattezzato Sisu in onore di un drago, personaggio animato del nuovo film della Disney, Raya e l’Ultimo Drago.

I volontari del canile hanno cominciato a chiedersi come mai Sisu fosse così attratto proprio da quel pupazzo e l’unica cosa venuta loro in mente è che, probabilmente, un pupazzo simile apparteneva a lui o a dei bambini con cui viveva prima di finire in strada.

Subito dopo l’arrivo di Sisu, i volontari hanno pubblicato sulla pagina Facebook del canile una sua immagine accompagnata da questa descrizione: “Questo è ciò che succede quando penetri illegalmente di continuo nel Dollar General per rubare un unicorno viola che credi sia tuo, poi fai chiamare il Controllo animali per rinchiuderti, ma l’ufficiale acquista per te il tuo pupazzo e te lo regala”. Attualmente, Sisu viene considerato un randagio poiché nessuno si è fatto avanti per rivendicarlo, anche se sono tutti convinti che si tratti di un cucciolone che è stato abbandonato o smarrito. Il Pitbull cerca le coccole e le attenzioni di tutti e ogni notte dorme abbracciato al suo unicorno.

«È così dolce. È fantastico! Voglio dire, è ovviamente molto intelligente e, persino quando lo abbiamo portato al canile, è stato molto obbediente. Si siede, dà la zampa. Qualcuno lo starà cercando – ha affermato Newburn – Non so quale potrebbe essere un’altra ragione che lo abbia spinto verso quell’unicorno se non il fatto che gli ricorda un pupazzo simile che aveva a casa. Se il negozio che ha chiamato avesse venduto cibo per cani, tutta la faccenda avrebbe avuto senso, ma non ne ha andare a caccia di un unicorno viola».

Fonte : https://www.kodami.it/sisu-il-randagio-che-entrava-in-un-negozio-di-giocattoli-per-rubare-un-unicorno-viola/p2/

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

FULVIO CERUTTI Pubblicato il 10 Marzo 2021 Ultima modifica 11 Marzo 2021 13:03

«Voglio restare per prendermi cura di ciascuno di loro fino all’ultimo, poi posso morire tranquillo, che sia un giorno o un’ora dopo». Sono piene di amore le parole che Sakae Kato dedica ai gatti di cui ogni giorno si prende cura. Lui mette realmente a rischio la sua vita per i randagi che ha deciso di salvare dalle strada di Namie, nella zona vietata di Fukushima, in Giappone.

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

Dopo il disastro nucleare causato dal terremoto e dallo tsunami avvenuto nel 2011, oltre 160mila persone sono fuggite via, ma in molti hanno lasciato alle loro spalle i gatti che da un giorno all’altro si sono trovati ad affrontare una vita da randagi. E così il 57enne Kato ha deciso di sfidare i divieti e ha trasformato casa sua in un rifugio per gatti randagi: lì si prende cura di 41 gatti a cui riempie le ciotole di cibo e acqua, il tutto in stanze riscaldate con una stufa. Senza acqua corrente, deve riempire le bottiglie da una vicina sorgente di montagna o andare ai bagni pubblici.

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

Kato non è riuscito a salvarli tutti, 23 mici in questi 10 anni sono morti, ma lui li ha presi e li ha seppellito in un cimitero da lui creato. Perché anche dopo la loro morte lui ha voluto prendersi cura di loro.

I gatti gli hanno anche dato un motivo per rimanere su un terreno che è stato di proprietà della sua famiglia da tre generazioni: «Non voglio andar via, mi piace vivere su queste montagne» racconta l’ex imprenditore che è però ben consapevole di tutte le difficoltà che vive quotidianamente e che lo aspettano: il pavimento della sua abitazione su due piani è marcio e si affloscia.

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

«Due o tre anni, forse: le pareti cominciano a cedere» spiega riferendosi alle condizioni della sua abitazione che è piena di fori che lui aveva tappato con pannelli delle pareti e tegole del tetto che hanno tenuto fuori la pioggia per anni, ma che il mese scorso sono stati rimossi da un potente tremore della terra, una scossa che ha riportato la mente a quel terribile 11 marzo 2011.

La storia di Kato, l’uomo che sfida la zona nucleare di Fukushima per salvare i gatti dimenticati

L’uomo spende circa 7.000 dollari (circa 5900 euro) al mese per i suoi animali, parte dei quali per comprare cibo per cani per i cinghiali che si radunano vicino a casa sua al tramonto. Una scelta che gli ha anche causato dei problemi: i plantigradi sono considerati dannosi e così Kato a febbraio è stato arrestato per averne liberati alcuni dalle trappole che l’amministrazione locale aveva disseminato sul territorio.

Ma a Kato questo non importa, lui, che ha salvato anche un cane, ha deciso di non lasciare nessuno indietro.

Fonte : https://www.lastampa.it/la-zampa/gatti/2021/03/10/news/la-storia-di-kato-l-uomo-che-sfida-la-zona-nucleare-di-fukushima-per-salvare-i-gatti-dimenticati-1.40008947?fbclid=IwAR1gaH9a2TOMV-0LQ1wcejTXQclXoMeo_dtxKnZw7yI4camtUKz5cIyphuc

Lupo scambiato per cane finisce in canile, ora si trova al Pettirosso di Modena.

28 febbraio 2021 Cristina Bonfatti https://player.vimeo.com/video/517753395

Per fortuna, quando è cresciuto il veterinario della struttura visitandolo ha capito la sua vera natura: i carabinieri forestali hanno poi chiamato i volontari di via Nonantola per trovare all’animale una casa idonea

MODENA – E’ stato trovato ferito a una zampa sulle strade dell’Appennino toscano: era un cucciolo, un batuffolo di pelo sofferente che chi lo ha curato ha pensato fosse un cagnotto, un meticcio con parenti di pastore tedesco e lo ha portato in canile. E qui è rimasto per un po’; forse per il suo zoppicare non è mai stato adottato. Per fortuna, quando è cresciuto il veterinario della struttura visitandolo ha capito che era un lupo. Il test lo ha confermato, un vero lupo melanico e di certo in canile non poteva più stare. In attesa di trovare per lui un luogo adatto è stato affidato a un privato, e il tempo è passato. Il lupo è diventato adulto e la zampa è peggiorata. Ma a questo punto si sono interessati alla sorte dell’animale, specie protetta, i Carabinieri forestali che hanno chiamato il Pettirosso per chiedere se in via Nonantolana c’era posto per lui. E la risposta è stata, come sempre, sì. . I volontari sono partiti subito per andare a prendere questo stupendo esemplare. Addormentato, è stato visitato e risvegliato dai veterinari prima di caricarlo nel furgone che lo ha portato alla struttura del centro fauna selvatica modenese. Il lupo ora è in un box temporaneo in attesa di tutti gli accertamenti sanitari e dell’adeguamento della protesi alla zampa per ridarle funzionalità. E’ monitorato dalle telecamere e molto tranquillo. Non potrà più tornare libero nelle sue montagne, ma una volta finite le cure lupo Ezechiele potrà essere inserito nel recinto di quasi 10mila metri di bosco, in compagnia della lupa Frida arrivata al Pettirosso già 5 anni fa.

Fonte : https://www.modenaindiretta.it/lupo-scambiato-cane-finisce-canile-ora-si-trova-al-pettirosso-modena-video/

La nuova vita di Rollo (ex cella 126), il cane senza nome di Taranto rinchiuso 16 anni in canile

La nuova vita di Rollo (ex cella 126), il cane senza nome di Taranto rinchiuso 16 anni in canile

NOEMI PENNA Pubblicato il 02 Marzo 2021 Ultima modifica 02 Marzo 2021 11:03

Ora ha un nome, una casa e tutto l’amore del mondo. E’ merito di tutti i lettori de La Zampa se la vita di Cella 126 è cambiata per sempre. Lui era il cane senza nome di Taranto che cercava casa dopo 16 anni, vissuti tutti in canile. Uno dei tanti «invisibili» che non ha mai conosciuto altro che sbarre e cemento.

La sua storia e i suoi grandi occhioni tristi, segnati da una vita dietro le sbarre senza aver commesso alcun crimine, hanno indignato e fatto emozionare il cuore di molti: l’articolo è stato molto condiviso e commentato. E grazie anche a questa diffusione ha trovato la famiglia perfetta per lui. Cella 126, il cane senza nome, esce dalla sua gabbia per una nuova vita https://video.lastampa.it/embed/la-zampa/cella-126-il-cane-senza-nome-esce-dalla-sua-gabbia-per-una-nuova-vita/128741/128879?adref=https://www.lastampa.it/la-zampa/cani/2021/03/02/news/la-nuova-vita-di-rollo-ex-cella-126-il-cane-senza-nome-di-taranto-rinchiuso-16-anni-in-canile-1.39972261&responsive=true&dnst=true Questo nonnino è stato richiesto da molti: avete letteralmente inondato la volontaria Erika di richieste. Rispondere a tutti è stato impossibile, ma lei si è da subito attivata per inviare questionari e selezionare la nuova famiglia. Un successo che la sezione tarantina dell’Oipa che ne stava promuovendo l’adozione non si sarebbe mai aspettata e che ha permesso al cane di trovare anche una famiglia «vicina», proprio di Taranto.

La nuova vita di Rollo (ex cella 126), il cane senza nome di Taranto rinchiuso 16 anni in canile

Oggi Cella 126 si chiama Rollo. Vederlo uscire dal box del canile è stata un’emozione incredibile. Lui non ci credeva fosse arrivato finalmente il suo momento. Era decisamente spaventato: stava per lasciare quello che da una vita chiamava tristemente casa, tant’è che appena ne ha avuto l’occasione ha preso un pacchetto di wurstel da terra ed è corso di nuovo dentro.

La nuova vita di Rollo (ex cella 126), il cane senza nome di Taranto rinchiuso 16 anni in canile

A dire tutto sono le toccanti immagini di questo video, che mostrano Rollo all’uscita dal canile e poi nella nuova casa con un bel giardino con tanta <roba verde> sopra. Già, perché Rollo in 16 anni non aveva mai avuto l’erba sotto le zampe, e vederlo sorpreso da quella incredibile sensazione che è la libertà non ha prezzo. Cella 126 ora si chiama Rollo, ecco i suoi primi passi nella sua nuova casa https://video.lastampa.it/embed/la-zampa/cella-126-ora-si-chiama-rollo-ecco-i-suoi-primi-passi-nella-sua-nuova-casa/128742/128880?adref=https://www.lastampa.it/la-zampa/cani/2021/03/02/news/la-nuova-vita-di-rollo-ex-cella-126-il-cane-senza-nome-di-taranto-rinchiuso-16-anni-in-canile-1.39972261&responsive=true&dnst=true

Rollo è un cane molto tranquillo: ora si sta ambientando nella sua nuova casa, circondato dall’amore di una grande famiglia. Avrà bisogno di qualche tempo per adattarsi alla nuova sistemazione, ma già sta apprezzando tutte le comodità che la vita casalinga ha da offrire. E sapere che trascorrerà i suoi anni d’oro come un principe ci riempie il cuore d’orgoglio per il lavoro che facciamo e per il sostegno che riceviamo da voi lettori. Buona vita a Rollo ed evviva La Zampa.

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Un armadillo assetato riesce a fermare un’auto e riceve l’aiuto di un uomo sensibile

Un armadillo assetato riesce a fermare un’auto e riceve l’aiuto di un uomo sensibile

Pubblicato il 23 Ottobre 2020 Ultima modifica 23 Ottobre 2020 9:10

Cledson Matias de Oliveira stava percorrendo una strada sterrata in Brasile quando a un certo punto ha notato un armadillo in difficoltà. «Era in mezzo alla strada e sembrava che stesse chiedendo aiuto – ha detto l’uomo -. Non ci ho pensato due volte e ho fermato l’auto, sono sceso e mi sono avvicinato all’animale».

Un armadillo assetato riesce a fermare un’auto e riceve l’aiuto di un uomo sensibile

Era una giornata molto calda, l’aria era piena di fumo a causa degli incendi che erano scoppiati nella zona, e Cledson ha pensato che l’armadillo avesse sete. «Dopo averlo spostato dal centro della strada, gli ho dato dell’acqua. L’ha bevuta tutta e sembrava davvero molto felice quando mi sono fermato», ha raccontato.

Un armadillo assetato riesce a fermare un’auto e riceve l’aiuto di un uomo sensibile

Di solito gli armadilli non lasciano avvicinare gli umani facilmente, ma secondo Cledson questo esemplare aveva capito che lui era lì per aiutarlo. «E’ stato un momento magico e unico». Dopo aver bevuto, l’armadillo non voleva lasciare l’uomo ed è rimasto con lui per un po’. «Forse era un modo per dirmi grazie – racconta – è stato un gesto molto gratificante e amorevole». Cledson  ha poi realizzato un video di questo incontro che su Youtube ha raggiunto oltre 88mila visualizzazioni.

Un armadillo assetato riesce a fermare un’auto e riceve l’aiuto di un uomo sensibile

Al mondo esistono 20 tipi di armadillo che vivono quasi tutti in Sud America. Si differenziano per il colore e la dimensione, vivono in habitat temperati e caldi, e a causa del loro basso tasso metabolico e della mancanza di depositi di grasso, patiscono molto il freddo. Non vedono bene e hanno un udito scarso: per questo si affidano principalmente all’olfatto per cacciare.

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Il «cane di razza cane», ovvero l’elogio del meticcio

La non razza porta con sé tante peculiarità che si intersecano tra loro: la socialità, il nomadismo, l’adattabilità, l’istinto di sopravvivenza. Ecco perché i «bastardi» sono adorabili

di Fabrizio Rondolino

Il «cane di razza cane», ovvero l'elogio del meticcio

Tutti i cani sono splendidi, e alcune razze sono semplicemente meravigliose: io stesso, come ormai sanno bene i lettori di questa rubrica, sono follemente innamorato dei pastori maremmani abruzzesi. E tuttavia, se proprio dovessi scegliere, se fossi costretto a indicare qual è il cane che più di ogni altro rappresenta la specie e che dunque merita di essere salvato da una qualche apocalissi, sceglierei un meticcio – quello che un tempo si diceva bastardo e che noi in famiglia chiamiamo «cane di razza cane». Chi ne ha avuto uno sa bene di che cosa parlo: il coinvolgimento emotivo può essere travolgente, ed è sempre un’esperienza straordinaria.

Stella è un’esponente perfetta della sua non-razza: taglia media, mantello prevalentemente nero a pelo corto, zampe focate che potrebbero essere di un pastore tedesco, muso vagamente da bracco, coda imponente. È stata raccolta in un paese qui vicino quando non aveva un anno e, forse in virtù delle abitudini contratte nella sua vita precedente, quasi ogni giorno si fa una lunga passeggiata fra i campi e le cascine del vicinato, e qualche volta scompare anche per un paio di giorni. È normale che un meticcio si comporti così, se è nelle condizioni di poterlo fare, perché il suo territorio è assai più vasto del giardino del suo compagno umano: per millenni i meticci sono stati «cani da villaggio», che giravano per le case in piccoli branchi senza necessariamente appartenere ad una famiglia, e un certo tasso di nomadismo è stato, e spesso è ancora, essenziale per la sopravvivenza. Stella resta fedele alla tradizione, sebbene il cibo non le manchi: del resto, è evidente che va vagabondando perché le piace incontrare altri cani e altri umani.

Un’altra caratteristica fondamentale del meticcio è infatti la socialità: per chi se ne va in giro per il mondo, le buone relazioni con gli sconosciuti sono una necessità irrinunciabile. Di fronte ad un altro cane, a qualsiasi altro cane, Stella immediatamente si accuccia a terra offrendo il collo e il fianco, nella più classica delle posizioni di sottomissione, dopodiché si lascia annusare per bene e poi timidamente lecca con pochi rapidi colpi il muso del nuovo amico, anche qui secondo un rituale perfetto, fino a che si rialza e comincia a giocare con lui: in pochi istanti è stata accettata. Non molto diversamente si comporta con gli umani, e infatti dai vicini non ricevo che complimenti: James, che sta a meno di cinquecento metri da noi e ha una minuscola cagnolina, è il più frequentato da Stella, e si lamenta con me se la nostra meticcia salta una visita.

L’adattabilità ad ogni ambiente o circostanza è un’altra qualità di Stella. Ho già raccontato come si sia abituata a convivere con i gatti di casa, nonostante abbia un istinto predatorio altissimo e, le prime settimane, dovesse essere rigidamente separata da loro per evitare una vera e propria strage. Nel frattempo si è abituata anche alle galline, dopo che per giorni l’ho portata con me in visita al pollaio del vicino: ma se avverte, anche a centinaia di metri, la presenza di una talpa, o di una lucertola, o di un istrice, o di qualsiasi altro essere vivente, scatta con una rapidità incredibile e con un solo colpo immobilizza la preda. Ma è anche capace di restare per un pomeriggio intero sul divano, come il più pacifico dei cani casalinghi. All’inizio della nostra convivenza, vedendola così vivace, temevo di dover passare molto tempo per abituarla alla vita in appartamento (i nostri cani vivono sempre in campagna, ma preferisco che siano abituati almeno un poco anche alla vita in città): invece, appena arrivati a Roma la prima volta, si è sistemata su una poltrona e lì è rimasta, silenziosa e tranquilla, fino alla passeggiata serale. I meticci si adattano a tutto, perché l’adattabilità è la chiave della sopravvivenza.

Non posso concludere senza citare un’altra caratteristica di Stella, e di tutti i meticci che ho conosciuto: la voracità. Nessun cane mangia tanto in fretta quanto Stella, e nessuno quanto lei è pronto a ricominciare dall’inizio appena finito il pasto. Non solo: mettendo da parte le sue abituali buone maniere, è anche capace di rubare il cibo agli altri cani, o almeno a provarci: e la cosa può essere molto pericolosa, soprattutto con Bonnie, la maremmana. È questo l’unico caso in cui devo separarli o prestare comunque molta attenzione: ma anche in questa fame insaziabile vedo all’opera l’istinto di sopravvivenza che ha condotto i cani dal Neolitico fino a noi, e mi viene da sorridere mentre le faccio una carezza.

Fonte : https://www.corriere.it/animali/bonnie-e-co/notizie/cane-razza-cane-ovvero-l-elogio-meticcio-fd06ec06-c462-11ea-b958-dd8b1bb69ac3.shtml

Orso M49 ancora in fuga, Lav: “Il recinto del Casteller è come una condanna all’ergastolo”

La Lega Anti Vivisezione diffonde le immagini dall’alto dell’area del Centro faunistico a sud di Trento, suddivisa “in tre porzioni larghe meno di 50 metri, non può garantire il soddisfacimento delle necessità etologiche di un grande animale selvatico. Gli orsi hanno tutto il diritto di vivere in piena libertà, siamo noi umani a doverci adattare alla loro presenza favorendo la convivenza”

“Il recinto del Casteller non è una casa per orsi”. A dirlo è Massimo Vitturi, responsabile LAV animali selvatici, commentando le immagini dall’alto che la Lega Anti Vivisezione ha diffuso dopo la seconda fuga dell’Orso M49 dal Centro faunistico a sud di Trento. Lo spazio, spiega Vitturi, “suddiviso in tre porzioni larghe meno di 50 metri, non può garantire il soddisfacimento delle necessità etologiche di un grande animale selvatico, basti pensare che un orso percorre fino a 20 km al giorno”.

“Gli orsi hanno tutto il diritto di vivere in piena libertà”

leggi anche Trento, l’orso M49 fugge per la seconda volta dal Casteller

“Quel recinto è come una condanna all’ergastolo per un innocente che non ha mai aggredito nessuno – prosegue Vitturi – sedato e castrato, è comprensibile che M49 abbia cercato nuovamente la libertà”. E attacca: “È la prova evidente di una gestione fallimentare da parte della Provincia di Trento, che non deve in nessun modo ricadere sulla vita di M49: gli orsi hanno tutto il diritto di vivere in piena libertà, siamo noi umani a doverci adattare alla loro presenza favorendo la convivenza”.

recinto casteller orso m49
L’immagine dall’alto del recinto Casteller (Lav)

La seconda fuga in un anno

L’orso M49, conosciuto con il soprannome di “Papillon”, è fuggito nella notte tra domenica e lunedì per la seconda volta in un anno dal Centro faunistico del Casteller. Questa volta, invece di scavalcare la recinzione esterna come aveva fatto il 28 aprile 2019, M49 prima è riuscito a superare la barriera elettrica, poi ha divelto la rete elettrosaldata costruita per evitare ulteriori fughe e ha piegato l’inferriata, dello spessore di 12 millimetri, fino a ricavarne un’apertura sufficiente per scappare verso i boschi. Ad accorgersi dell’ennesima evasione è stato il personale di guardia del recinto che, nonostante il tutto sia avvenuto al di fuori del campo coperto dalle telecamere, ha notato come il segnale del radiocollare di M49 ad un certo punto partisse dall’esterno del recinto. Già nella tarda mattinata di ieri M49 era stato individuato dai forestali nei boschi del gruppo montuoso della Marzola, sopra Trento, ma ha dimostrato in passato una grande capacità di spostarsi velocemente in diverse zone.

Fonte : https://tg24.sky.it/cronaca/2020/07/28/orso-m49-fuga

Scala montagna alta 2.500 metri, in cima trova un gatto che riposa

Uno scalatore polacco recentemente ha scalato la vetta più alta del suo paese ed è rimasto sorpreso di trovare un gatto domestico che lo aspettava proprio in cima.

Wojciech Jabczynski non poteva credere ai suoi occhi quando ha raggiunto la cima del monte Rysy. alto 2.500 metri, per trovarci un gatto rosso che si leccava tranquillamente le zampe. Nessuno sa esattamente come il felino sia arrivato sulla cima della montagna, e tanto meno perché. Sorpreso dalla presenza dell’animale, lo scalatore ha preso il suo telefono e ha scattato alcune foto, giusto per assicurarsi che la gente lo credesse quando avrebbe raccontato la storia.

il gatto sulla cima della montagna

Jabczynski ha detto che il gatto non sembrava preoccupato per il freddo né spaventato dagli umani e si è avvicinato a lui mentre prendeva il suo pranzo dallo zaino, ma a quanto pare il suo panino al formaggio non era di suo gusto.

Le foto e i video di Wojciech Jabczynski pubblicati sui suoi account sui social media sono diventati presto virali e la gente ha iniziato a commentare che il gatto domestico doveva essere in realtà un leopardo delle nevi in incognito, o che aveva l’anima di una capra di montagna. Jabczynski sospetta che possa essere salito da una piccola capanna turistica che si trova alla base della cima.

Foto: Wojtek Jabczynski / Facebook

Fonte : https://notizie.delmondo.info/2018/11/16/scala-montagna-alta-2-500-metri-in-cima-trova-un-gatto-che-riposa/

“Addio mia amata Cassie. Mi sento in colpa a provare dolore ma anche gli animali sono affetti”

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Questo articolo è stato pubblicato su Huffpost Uk ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo

Non so come piangere per la perdita che ho subito.

Vivo a New York, uno degli epicentri della pandemia di Coronavirus – e ho appena perso la mia cagnolina.

I media pullulano di foto e notizie che raccontano la devastazione – i furgoni che trasportano cadaveri, le fosse comuni di Hart Island, gli ospedali improvvisati per accogliere il flusso continuo di pazienti in gravissime condizioni. Ogni giorno porta con sé nuove brutte notizie sulla pandemia – altri ammalati, altri morti. Ma questo non rende meno dolorosa la mia perdita.

Riluttante all’idea di scrivere della morte del mio cane sui social, l’ho detto solo a qualche amico. Sono perlopiù comprensivi, mentre altri si sono dimostrati insensibili.

“Ne prenderai un altro?”, mi hanno chiesto tre di loro.

“Ti mando un link per le adozioni”, mi ha proposto il vicino.

Quando sono morti i miei genitori, ho osservato la Shiva, ho acceso delle candele e ho recitato il Kaddish secondo la tradizione ebraica. Il lutto è durato dodici mesi. Per la morte di un animale domestico non esistono pratiche religiose.

Quando l’abbiamo adottata in un rifugio del posto, quattordici anni fa, abbiamo deciso di chiamarla Cassie. Per Steve, mio marito, è stato amore a prima vista. Vivace, spavalda e affettuosa, era un cocker spaniel marroncino e bianco con delle zampe enormi che la facevano sembrare un cucciolo anche da grande.

Nel giro di un mese, è diventata il mio cane. Le nostre personalità si somigliavano e, come me, anche lei adorava fare nuove conoscenze. Forse anche grazie ai trucchetti che le avevo insegnato. “Qua la zampa”. “Alzati e fai un giro su te stessa”. “Sdraiati”. Una sequenza che eseguiva alla perfezione, per poi ricevere un biscotto in premio.

Era un cane da terapia certificato, e spesso andavamo a far visita ai residenti di una casa di riposo. “Ha il pelo morbidissimo”, le diceva ammirata una donna mentre lei e gli altri ospiti accarezzavano Cassie, condividendo aneddoti sui loro amati amici a quattro zampe.

Cinque anni dopo, sia mio marito che Cassie hanno ricevuto una diagnosi di cancro – Steve, un tumore alla gola al quarto stadio e Cassie un carcinoma dei mastociti. Entrambi curati con esito positivo. Tuttavia, il veterinario di Cassie mi aveva avvertito: “State attenti, il suo sistema immunitario è compromesso”.

Non poteva più fare da cane da terapia, ma a parte questo non ha perso un colpo. Passeggiando per le strade affollate dell’Upper West Side, i passanti spesso si complimentavano: “È bellissima”

“Lasci che le mostri quello che sa fare”, rispondevo io.

E allora si fermavamo ad ammirare Cassie che eseguiva le sue mosse.

“È sorprendente”, mi dicevano spesso i bambini.

Durante la terapia oncologica di Steve e, qualche anno dopo, durante un intervento chirurgico per la sostituzione di una valvola aortica, che per poco non l’ha ucciso, io e Cassie siamo diventate ancora più inseparabili. Era la mia ancora, la mia integrità mentale, il mio cuore.

Come tantissime morti in questo momento, anche la sua è stata improvvisa.

Due giorni prima che a New York entrasse in vigore la quarantena, Steve ha annunciato: “Porto Cassie dal tosatore. Chissà quando ne riavremo la possibilità”.

“Metti la mascherina. Sei un soggetto a rischio”, gli ho detto porgendogli una mascherina rimediata mesi fa al pronto soccorso, quando è stato ricoverato per polmonite.

Un’ora dopo, il toelettatore ci ha chiamato in preda al panico. “Dobbiamo portare subito Cassie dal veterinario. Non respira.”

Il medico ha fatto arrivare un’ambulanza veterinaria che ci ha portato alla clinica per animali.

“Steve, va’ a casa”, ho detto a mio marito. “Non sei al sicuro.”

In ambulanza, Cassie è andata in crisi respiratoria. Una volta arrivati in ospedale, l’operatore l’ha portata dentro in tutta fretta. Un’infermiera mi ha invitata ad accomodarmi in una stanza privata per rispettare il distanziamento sociale. Dopo quella che mi è sembrata un’eternità, una veterinaria mi ha comunicato: “Cassie sta un po’ meglio. Stiamo facendo degli esami. Non c’è motivo di restare qui. Vi chiamo io.”

Mi sono lavata le mani all’erogatore di igienizzante dell’ospedale e ho percorso i quasi cinque chilometri che mi separavano da casa perché avevo troppa paura di prendere i mezzi pubblici.

Dopo qualche ora, la veterinaria ha chiamato.

“Ha la laringe semiparalizzata”, ha detto. “Non riesce a respirare da sola e ho dovuto intubarla. Le serve una tracheotomia. Ma le possibilità che sopravviva sono pochissime.”

Voltandomi verso Steve, in preda al panico, gli ho chiesto: “Che dobbiamo fare?”

Col volto rigato di lacrime, mi ha risposto. “È arrivato il momento di dirle addio.”

Nei nostri 44 anni di matrimonio, abbiamo adottato altri animali e siamo sempre rimasti al loro fianco quando ci hanno lasciato. Stavolta non è andata così.

“Non possiamo andare in ospedale. È troppo rischioso”, ho detto col cuore a pezzi.

Perciò, Cassie è morta circondata da sconosciuti – un’immagine che ora non mi fa dormire la notte.

Piango spesso – singhiozzi ansimanti che non riesco a controllare – ma poi mi fermo. Devo fare del mio meglio per restare forte e in salute. Altre volte, mi sento in colpa per il dolore intenso che provo per questo lutto e dico a me stessa che era solo un cane. In questo momento, tantissime persone stanno morendo in circostanze impensabili. La loro morte non conta forse di più?

Chi ha un amico a quattro zampe è grato della sua esistenza. Persino Franklin Roosevelt cercava il conforto del suo piccolo Terrier nero, Fala, mentre guidava la nazione durante la Seconda Guerra Mondiale. Fala dormiva ai piedi del letto di Roosevelt, lo accompagnava nei suoi viaggi, ed è stata seppellita accanto al presidente e a sua moglie nella loro proprietà di Hyde Park.

La vita dei nostri animali domestici ha un valore – anche loro contano! – sebbene spesso la società banalizzi il nostro rapporto con loro. E anche se sento che non dovrei soffrire per la morte di Cassie in modo così intenso e doloroso – soprattutto durante una pandemia che vede accadere cose terribili – la sua vita e la sua scomparsa mi hanno toccata nel profondo, forse proprio a causa del COVID-19.

Mi manca tantissimo. Accoccolarmi contro la sua pelliccia calda e accarezzarle le lunghe orecchie morbide mi dato conforto in passato, e adesso lei non è più qui ad aiutarmi a superare questo periodo così strano e terrificante. Non so davvero cosa fare senza di lei, e sento di non poter piangere come vorrei perché la gente lo ritiene assurdo, stupido e immeritevole di un sentimento simile. 

Forse quando la vita tornerà alla “nuova normalità”, mi sentirò più a mio agio all’idea di parlare della mia perdita e iniziare una lenta ripresa. Posterò sui social le mie foto preferite di Cassie e le metterò in mostra per tutto l’appartamento. E quando a Riverside Park sbocceranno i fiori, spargerò le sue ceneri lungo il sentiero che ci piaceva tanto percorrere insieme e piangerò senza vergogna né sensi di colpa.

Fonte https://www.huffingtonpost.it/entry/addio-mio-amato-cane-mi-sento-a-provare-tanto-dolore-ma-anche-gli-animali-sono-affetti_it_5ebe72cdc5b6500cdf66ba66?utm_hp_ref=it-animali

IL BAMBINO E L’ORSO

Sta facendo il giro del mondo il video in cui Alessandro incontra un orso e con tutta calma si allontana. Gli esperti concordano: «Fate come lui»

Alessandro è stato bravissimo e lo conferma il giro del mondo che il video della sua impresa sta facendo. Alessandro è il bambino che ha incontrato un orso e ha fatto la cosa giusta. Il tutto ripreso dal papà con cui era in giro nel bosco a Nova di Sporminore, in Trentino.

Il bambino è stato tranquillo. La cosa migliore da fare come ha spiegato anche il WWF secondo cui il video «evidenzia l’importanza della conoscenza delle regole di base da mettere in pratica in caso di incontro con l’orso.

Conoscere questi principi infatti permette di non mettere a rischio la propria incolumità e la tranquillità dell’orso».

Quello capitato ad Alessandro e alla sua famiglia è un evento raro: è difficilissimo incontrare un orso. Se non si vogliono correre rischi ed evitare l’incontro basta segnalare la propria presenza, parlando o attaccando allo zaino un campanellino. E se lo si incontra? Fare quello che ha fatto il bambino cioè non scappare, ma «mantenere la calma, parlare e far notare la propria presenza all’orso allontanandosi lentamente».

L’orso era vicino ai cespugli di pino mugo a cui si è avvicinato il bambino che ha seguito alla lettera le regole che appaiono un po’ dovunque nei centri faunisti e all’ingresso dei parchi in Trentino: allontanarsi parlando a voce alta, non necessariamente di spalle, su tutti, oltre all’indicazione di non dare da mangiare gli animali e non lasciare rifiuti abbandonati. In questa zona sono almeno un centinaio gli esemplari di orsi. Quello del video sembra giovane, tranquillo e certamente curioso. Sarebbe stato più pericoloso incontrare una madre con cuccioli da difendere e avere cani al seguito. Se l’orso dovesse minacciare un attacco il consiglio è di stendersi a terra immobili, riparandosi la testa con le mani.
Niente di tutto questo è successo al preparatissimo Alessandro che aveva una gran voglia di vedere un orso secondo papà Loris Calliari ed è stato accontentato. Il Servizio foreste e fauna della Provincia ha spiegato che, nella stessa zona, nei mesi passati, c’erano stati incontri tra uomo e orso in cui un plantigrado aveva volontariamente avvicinato, e in qualche caso seguito per qualche tratto, persone incontrate nel bosco. Forse è lo stesso animale.

Fonte : https://www.vanityfair.it/news/cronache/2020/05/27/il-video-bambino-e-orso-finito-anche-sulla-bbc